Tra
possibile e impossibile di certo talvolta siamo artefici assoluti della nostra
stessa
degenerazione. D’altra parte l’esperienza narrativa del reale può essere
tutto, denuncia, tristezza, satira. O sasso nello stagno.
Quello
di Filippo D’Angelo è un romanzo d’esordio piuttosto forte, in stile e carica
elettrica. Perché La fine dell’altro mondo è la rappresentazione di un
fallimento senza troppe metafore.
Il
protagonista, Ludovico Roncalli è un giovane di famiglia alto-borghese, annoiato
dai coetanei, disgustato dal mondo dell’elite culturale nazionale, affascinato
dalla fantasia di un rapporto incestuoso con la sorella, in piena deriva di
alcool e autoerotismo di disperazione. Quando si metterà sulle tracce di un
libro dal finale perduto, un romanzo utopico di Cyrano de Bergerac, inseguirà
la fine possibile come se la letteratura potesse essere il suo riscatto
professionale e umano. Purtroppo la vicenda si svolge a Genova l’estate del G8
che, con la sua follia, travolge la città e il progetto di Ludovico.
E’
evidente che Ludovico si scaglia contro la sua generazione e quella dei suoi
genitori, contro il sistema politico e accademico, contro la disfatta della
famiglia “moderna” e la sfibrata verità sociale del nostro tempo. Lo è altrettanto
la convinzione di sfiducia senza appello, aspetto che forse si allontana da
qualsiasi speranza di incitamento a qualche ribellione culturale. Può essere un
limite ma è anche interessante. Tutto sommato proprio la ferocia, nuda, può
colpire nel segno e scuoterci. Talvolta poi è un atto di coraggio già la
consapevolezza…
Linguaggio
complesso per un libro tragicomico che presenta un autore con tratti molto incisivi.
Tema scottante, naturalmente.
Nessun commento:
Posta un commento